Curiosità. Vivere a Trieste con la Bora da 100 km in su. Un racconto esclusivo del triestino Loris Cattunar/FOTO

(wn24)-Redazione – In tempi dove Sanremo monopolizza i media, non poteva non mancare un riferimento allo storico Festival della Canzone italiana. Vi ricordate “Andavo a 100 all’ora” del longevo Gianni Morandi? Bene… è la canzone giusta da dedicare alla signora di Trieste: “La Bora”. Tante volte quando mi chiedono delle mie origini rispondo, naturalmente, Trieste. E su con una sequela di domande sul fenomeno naturale e, sopratutto, come si  convive con la Bora. Da questo giornaliero quesito, ho voluto, in maniera “quasi” scherzosa, ma nello stesso “reale”, proporVi questo mini racconto.

Vivere con la bora a Trieste da 100 km in su

Quando si sente parlare della bora, tutti ricordano le foto sbiadite o le immagini di repertorio in bianco e nero dei triestini in zona posta centrale che camminano controvento, aiutati e aggrappati alle funi con la stessa tecnica degli scalatori che affrontano le ferrate più semplici.
La Bora è un vento non costante, ma con folate che i triestini chiamano “refoli”, che raggiungono talvolta anche i 160 Km orari e che non rispettano il codice della strada, né gli autovelox. Due anni fa se ne è accorto un camionista non locale che, passato sul lungomare e in prossimità di Piazza Unità d’Italia, lui e il suo TIR “Scania”, carico di solidità svedese, non ha dato la precedenza all’arrivo della folata o refolo tanto da adagiare il suo bisonte della strada su un fianco del lungomare( vedere Foto).
A Trieste nei giorni di Bora quando si affrontano spiazzi liberi bisogna saper ascoltare se la folata di vento è in arrivo oppure no, anche con cappello incalzato in testa o “fraca”, perché altrimenti vola via. E’ un rischio girare, specialmente se si copre i padiglioni auricolari, non solo negli attraversamenti pedonali, ma nelle piazze e nei moli perché lei, “La Bora”  è una signora vigorosa che ti porta dove vuole lei (mio nonno materno, una volta è decollato terminando la sua breve corsa infrangendo la vetrina di un fioraio). Talvolta volano perfino gli occhiali da vista o da sole se non sono ben stretti (provare per credere).
Come si riconosce un triestino o triestina che passeggiano con la bora?
Giacca a vento, pantaloni, sciarpa, guanti e berretto di lana aderente in testa e tecnica di camminata montana con inclinazione corpo a torre di Pisa per essere più stabile controvento
Mentre un forestiero si riconosce subito, cammina in retromarcia contro vento, appunto, perché non riesce a respirare. Se volete provare l’effetto a casa mettevi un phon professionale a 5 cm dalla bocca e accendetelo con aria fredda e provate a parlare… ricordatevi che la forza della bora è nettamente superiore. Altro esempio: andate in un autogrill in autostrada e posizionate il bocchettone dell’asciugamani verso la faccia. Di solito chi arriva con il cappotto nella giornate di bora nota che il suo caldo indumento è inadeguato perché si gonfia di due o tre taglie per il vento che si incanala negli spazi liberi ed esce dalla maniche abbracciando freddamente il turista ignaro…o si vede la turista con la gonna che lotta tutto il tempo per non mostrare le sue grazie con la chioma svolazzante e il cappello che ha preso il decollo, chissà per quale meta, come un ….oggetto non meglio identificato (U.F.O.)

Al mattino presto non serve bere il caffè per svegliarsi, basta aprire la finestra sbucare fuori con la testa per vedere il tempo e se c’è la bora ci si trova con la capigliatura stile Lucio Battisti anni ‘70  e con la testa gelata. Un ottimo caffè serve dopo per riscaldarsi.
Ma sapete quando arriva la Bora? Di solito di notte e si sente, e come si sente, perché c’è sempre qualcuno nell’isolato che ha lasciato una finestra aperta o mal chiusa che sbatte, e sbatte per ore fino a che non arriva come un sollievo il suono crash del vetro che infrange in mille pezzi. E Pasinati, ex calciatore di serie A della Triestina, ora famosissimo vetraio, ringrazia.

La Bora è il santo protettore dei vetrai triestini e parrucchieri, mentre il Borino, fratello minore, è il santo protettore dei venditori di ombrelli (vedere foto).
Le signore come guerriere, destreggiano gli ombrelli a modo scudo per difendere le loro preziose chiome dagli attacchi improvvisi; traditrici del “borino” quando viaggia in simbiosi con la pioggia scrosciante. Ma talvolta, nonostante l’abilità, l’audacia e la tecnica delle amazzoni triestine, il “borino” ha la meglio piegando gli scudi e le lascia in balia del vento misto pioggia.
Le armi di difesa delle vittime, gli  ombrelli disfatti che si vedono piegati in angolature innaturali per le strade, servono per i bottini del giorno seguente della loro disfatta.
E’ capitato di vedere per città qualche mitica signora di altri tempi che, nonostante la bora a 100 km orari, aveva la chioma sempre perfetta e neanche un capello fuori posto. Probabilmente queste alchimiste sono le prime inventrici del casco integrale: personalmente avvicinerei con timore la mano alla loro chioma, perché non vorrei fare la fine del merlo invischiato (era la fine che facevano i merli quando si appoggiavano sulle viti d’uva dove i contadini mettevano il vischio per proteggere il loro oro di Bacco).
La mattina seguente dall’arrivo della bora, la prima cosa che noti per strada gli strike, fatti come una palla di bowling, di moto e scooter posteggiati per strada. I più saggi mattinieri sono i centauri che escono indossando il loro casco, perché improvvisamente può arrivare di tutto dal cielo, vasi di fiori tegole e gatti volanti.

Non è raro vedere cassonetti dei rifiuti vagare per le corsie stradali , perché gli addetti hanno dimenticato di frenare la “scatola vuota”. Se poi la perturbazione è stata eccezionale,  cioè vento da 150 Km orari in su, si possono notare  i bottini ribaltati con angolature che vanno dai 90 a 180 cartelloni stradali controvento piegati a 90°; barche in mezzo al golf, perché si sono rotti gli ormeggi e rami caduti sul manto stradale. Per la “puntata di storia”, nel  1910, la bora fece deragliare persino un treno passeggeri. Se poi piove e ghiaccia, con la “Grande Signora” rimane solo un tentativo: uscire di casa con le scarpe chiodate o i ramponi. 
Dove nasce la Bora?
Sul Monte Nevoso (nella confinante Slovenia) habitat degli orsi ,lupi,linci e gatti selvatici. Essa si incanala per rafforzarsi in Val Rosandra che è un canyon scavato nei millenni dal torrente Rosandra, zona di aspetto montano con il rifugio CAI Premuda e chiesetta Santa Maria Saris, cascata e pareti di scuola di roccia di famosi alpinisti del passato come il triestino Emilio Comici per poi spazzare quello che ritiene ingiusto difronte al suo cammino facendo roteare le gru come pale eoliche orizzontali delimitando il suo confine al Lisert l’imbocco autostradale di Trieste – Monfalcone. In fondo è la Bora uno degli ingredienti che rende Trieste una città unica, magari da visitare con uno spirito d’avventura e polmoni aperti.

 

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